IMPERIALISMO
Il mutamento di funzione della “questione nazionale”
di Giulio Angeli
Nuovi soggetti irrompono nella competizione imperialista mondiale sconvolgendo gli assetti di potenza fin qua consolidati e ponendo problemi in larga parte inediti.
Il “terzo mondo”
Il termine “terzo mondo” nasce negli anni ’50, quando i sociologi francesi A. Sauvy e G. Balandier, intesero” individuare specifiche categorie economiche, politiche e culturali proprie dei paesi arretrati, prendendo a riferimento la borghesia, il terzo degli stati generali che si riunì in Francia nel 1789.
Tale riferimento era, in realtà, del tutto privo d’obiettività storica: la borghesia, infatti, sorse come una classe con interessi comuni, mentre i paesi arretrati non sarebbero mai stati una classe e avrebbero assunto, nel tempo, interessi profondamente divergenti. Dalle sopradette formulazioni si sarebbero poi sviluppate numerose teorie “terzomondiste” relative alla preminenza delle lotte di liberazione nazionale sulle lotte del proletariato nei paesi arretrati: secondo alcune di queste teorizzazioni l’imperialismo non sarebbe una delle fasi di sviluppo del capitalismo, ma uno strumento di dominio per consentire ai paesi “ricchi” di sfruttare quelli “più poveri”, ritardandone così lo sviluppo.
Queste teorie tendono a riunire tutte le classi di una medesima nazione in un unico insieme, e nel trasformare lo scontro tra classi in scontro tra nazioni mostrano inquietanti aderenze con il concetto mussoliniano di “nazioni proletarie”.
In realtà, nei paesi arretrati non si sono realizzate le medesime transizioni che hanno storicamente caratterizzato lo sviluppo del capitalismo europeo perché la fase della libera concorrenza appartiene al passato remoto dello sviluppo capitalistico e la fase imperialista, nel suo affermarsi, ha profondamente modificato il ruolo delle borghesie dei paesi arretrati trasformandole in classi sfruttatrici delle rispettive classi subalterne e, quindi, in classi borghesi capaci di realizzare sistemi capitalistici più o meno sviluppati.
Le fasi d’espansione coloniale e imperialista del capitalismo hanno imposto costi umani enormi ai popoli dominati, ma questi costi non sono stati superiori a quelli subiti dal proletariato europeo fin dall’epoca della rivoluzione industriale.
In questo contesto storico Marx individua, definitivamente, due poli, la borghesia e il proletariato. Oggi non esistono nel mondo altre forze sociali capaci di muoversi al di fuori di questa polarità, e ogni analisi che voglia cogliere le differenziate condizioni di sviluppo che si determinano nelle aree del contesto capitalistico mondiale deve, necessariamente, essere ricondotta a questa polarità classista e inserita nel quadro del conflitto imperialista mondiale.
Il capitalismo, espandendosi, ha prodotto aree a sviluppo differenziato: così è stato che antiche colonie sono divenute potenze capitalistiche mondiali (USA, Canada), proprio mentre antiche potenze coloniali sono lentamente regredite nel sottosviluppo e nell’arretratezza (Spagna, Portogallo), e antichi paesi arretrati sono divenuti potenze capitalistiche mondiali o continentali (Cina, India, Brasile).
Altre aree, poi, sono regredite nel sottosviluppo senza alcuna prospettiva di progresso: in questo contesto il sottosviluppo non costituisce l’eccezione dello sviluppo capitalistico mondiale ma si configura come parte integrante dei processi di internazionalizzazione del capitale.
Il mutamento di funzione della “questione nazionale”
Nell’arco di questi ultimi trenta anni nuovi paesi arretrati si sono emancipati dal dominio coloniale e, superando l’immobilismo che questi imponeva, si sono aperti al mercato mondiale consentendo alle dinamiche imperialistiche di espandersi ulteriormente: la decolonizzazione e le lotte di indipendenza nazionale non hanno storicamente negato l’imperialismo, ma ne hanno invece consentito e accelerato lo sviluppo.
Il nuovo corso imperialistico mondiale sta lentamente ponendo le basi per la ridefinizione di quell’assetto storico secolare costituitosi nel 1500 con il decollo delle potenze europee, con il rifluire dell’Asia nell’arretratezza e nel dispotismo, e con il profilarsi all’orizzonte di quella che diverrà la principale potenza imperialistica mondiale, gli USA. Oggi, dopo il crollo dell’URSS, si sta tracciando un assetto mondiale completamente nuovo: il consolidamento di un polo imperialistico europeo, il rapido sviluppo capitalistico della Cina proiettata verso un ruolo di grande potenza, il prorompente sviluppo capitalistico dell’India e quello continentale del Brasile pongono le premesse per il progressivo indebolimento dell’egemonia USA sull’economia mondiale.
In questa nuova fase della competizione imperialistica non c’è più spazio per il concetto di “nazione”e per la stessa funzione “storica” delle lotte d’indipendenza e di liberazione nazionale.
Conseguentemente “la rivoluzione a tappe”, che consta dell’appoggio tattico alle borghesie nazionali, assume oggi la fisionomia di una vera e propria utopia reazionaria perché la lotta del proletariato nei paesi arretrati è ormai divenuta prioritaria rispetto alla “questione nazionale” e alle stesse lotte d’indipendenza.
Alcuni compagni ritengono che gli elementi di critica fin qua schematizzati sottovalutino il ruolo dell’articolato movimento d’opposizione alla “globalizzazione: in realtà la questione è mal posta. Gli elementi di critica introdotti valutano e non sottovalutano il ruolo dei movimenti d’opposizione, delle lotte di liberazione nazionale, della borghesia, della classe operaia e del proletariato mondiale nel nuovo quadro della competizione imperialista, mentre sono proprio coloro che tracciano l’apologia di detti movimenti a sopravvalutarne il ruolo e la funzione, conseguentemente sopravvalutando le lotte di liberazione nazionale, assumendole come prioritarie rispetto a quelle del proletariato che, invece, sottovalutano.
E’ indubbiamente importante intervenire nelle contraddizioni del capitalismo e, quindi, anche all’interno dei movimenti di massa, purché si abbia la capacità di inquadrarli nel contesto storico al quale appartengono e sviluppare l’opportuna tattica d’intervento ma, con il medesimo rigore, si dovrà distinguere tra contraddizione e contraddizione, evitando di confondere cause ed effetti e, soprattutto, imparare a distinguere tutte quelle posizioni statiche e tradizionali che maturano intorno ai movimenti di massa, ormai completamente superate dalle nuove fasi dello sviluppo capitalistico.
Il ritardo dell’anarchismo
Il processo rivoluzionario per svilupparsi richiede il combinarsi di condizioni:
“La congiuntura di crisi del sistema capitalistico nazionale e internazionale, la partecipazione attiva delle grandi masse operaie e contadine delle città e delle campagne, l’azione organizzata della minoranza agente”. (1)
Oggi nessuna di queste condizioni si verifica compiutamente e, quindi, la fase che stiamo vivendo non può definirsi come rivoluzionaria: ma è comunque necessario cogliere i fenomeni fino ad oggi inediti per ricollocarli nel corpo di un’analisi complessiva del fenomeno imperialistico mondiale e delle sue evoluzioni, al fine di individuare la strada giusta da seguire per sviluppare la nostra azione politica: valutare obiettivamente la fase che stiamo vivendo non significa rimanere con le mani in mano aspettando il momento favorevole. (2) Lo sconvolgimento in atto nell’ambito della contesa imperialistica mondiale tende obiettivamente verso “una congiuntura di crisi”, originando quel conflitto tra potenze “vecchie e nuove” destinato, per altro, ad inasprirsi nel corso dei prossimi anni, e la “partecipazione attiva delle grandi masse operaie e contadine” si misura, fin da oggi, con le poderose migrazioni di forza lavoro, che dalle aree rurali e industriali più arretrate muovono verso le metropoli imperialistiche, interne o esterne che siano ai rispettivi paesi d’origine.
Tali fenomeni che costituiscono le leve destinate ad acuire le contraddizioni del capitalismo mondiale, aprono ampi spazi all’iniziativa dei rivoluzionari nell’arco della prossima generazione ma, contemporaneamente, impongono il restauro della teoria, della strategia e della prassi politica ed organizzativa dell’anarchismo che si dimostra del tutto impreparato ad affrontare gli scenari futuri: non si afferma in altre parole, con la necessaria intensità e decisione con cui procede la storia, il soggettivo coagularsi della minoranza agente, del ruolo attivo, visibile ed autonomo dell’anarchismo nella lotta di classe.
Giulio Angeli
(1)“Resistenzialismo piano di sconfitta”. Note critiche sull’indirizzo della rivista “Volontà”.
Suppl. al n. 2 de “L’impulso” a cura del “Gruppo d’iniziativa per un movimento orientato e federato” – Livorno febbraio 1950. Oggi in n: A. Dadà “L’anarchismo in Italia tra movimento e partito” Teti Editore Milano 1984 – pag . 342
(2))Per una efficace sintesi storica degli avvenimenti si veda: “Piccola Enciclopedia anarchica – Mezzo secolo di lotta della classe operaia mondiale (1900 – 1950)”- Parti prima e seconda - A cura del “Gruppo d’iniziativa per un movimento orientato e federato”Roma 1950. Oggi edito nei quaderni di “COMUNISMO LIBERTARIO” Livorno 2000.
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